Degli Imprinting
Quando è stato nominato questo “imprinting” non ho avuto
grandi dubbi sul quale potesse essere, forse perché l’ho sempre saputo, forse
perché l’ho sempre considerato il “posto del cuore”, forse perché tutti lo
abbiamo e magari non lo sappiamo finché arriva qualcuno che gli dà una
definizione: imprinting.
Il mio si trova a una manciata di km da Roma: Capo Ascolano
frazione di Pomezia meglio conosciuta, da me e pochi altri, come “la casa al
mare”. Si arriva a Campo (si perché Ascolano è dimenticato da Dio e dagli
uomini) dallo stradone dove a sinistra c’è l’aeroporto militare di Pratica di
mare, che è una gioia immensa soprattutto quando per tutta l’estate, dalle 15
alle 16, fanno le esercitazioni le frecce tricolore a bassa quota e a destra la
tenuta presidenziale di Castelporziano, popolata da caprioli e cinghiali.
Campo è il posto del cuore perché tutti i ricordi, da che ne
ho memoria, sono ambientati li o almeno i più importanti, per descriverlo ci
sono quattro cose da tenere in considerazione: gli odori, le strade, la casa e
il mare. Inizio dagli odori, sarà che li lego a qualunque cosa e li sento anche
dove non dovrebbero esserci. Gli odori di questo posto non cambiano mai, che
sia luglio o gennaio sono sempre gli stessi; il vialetto di fronte casa mia sa
sempre di cane bagnato dopo che ha piovuto, la salsedine si sente anche se il
mare dista circa 800m, non so perché ma l’odore di carne alla brace è
inconfondibile, tanto quanto quello dei pini e poi quello del posto in cui vivo
dove ogni vota che si apre la porta si è accolti da quella leggera punta di
umidità tipica di una casa che viene aperta tre mesi l’anno.
Ecco per descrivere casa mia non trovo un modo migliore se
non la parola aperta, aperta sempre
comunque e a chiunque. Ma farò un passo indietro per contestualizzarla. Nel ’64
il mio bisnonno e mio nonno costruirono queste quattro case a schiera, perché
da parte di mio papà la famiglia è numerosa e quindi l’idea era quella di poter
stare tutti insieme almeno d’estate. Poi i figli hanno fatto figli e quindi con
numerosa intendo che quando ci riuniamo tutti per le cene comuni solo noi
“pochi intimi” siamo minimo minimo 35!
Casa mia è al piano terra della prima villetta a destra; si
entra da un cancello (rigorosamente senza citofono perché tanto come dice mio
padre “a che serve o urlano o entrano”) che porta ad un ampio giardino, dove le
radici dei due pini marittimi hanno fatto saltare tutta la parte pavimentata e
siamo costantemente invasi da aghi e pigne che cadendo hanno battezzato tutte
le macchine della famiglia, l’iter è semplice: fruscio, tonfo secco, antifurto,
buco, parolacce varie del fortunato e carrozziere, è cosi da circa… sempre.
La casa è semplicissima: soggiorno, angolo cottura, due
camere e un bagno (nella mia c’è la carta da parati con le ballerine che credo
sia anche arrivato il momento di togliere). Dalla cucina e in teoria anche
dalla camera mia e di mia sorella, ma l’inferriata non si apre, si esce sul
secondo giardino che è un po' la mia parte preferita. Quando ho detto che casa
è sempre aperta non è perché non c’è il citofono ma perché tra casa mia e
quella accanto, dove ci sono i miei zii con i miei cugini e mio nonno, c’è un
muretto alto circa 50 cm che in teoria dovrebbe dare un’idea di divisione ma
praticamente non esiste perché vieni scavalcato più o meno dieci volte all’ora.
Credo non sia stato abbattuto perché dentro ci passa qualcosa tipo tubazioni o
cavi, o semplicemente perché è uno di famiglia. E poi al giardino dietro si
affacciano i balconi dei due appartamenti sopra dove abitano le sorelle di mio
nonno con rispettivi figli e nipoti. Ecco perché forse è il mio posto preferito,
perché li dentro ci cadono un po' tutti per un motivo o per l’altro compresi i
costumi se si staccano dai fili dello stendino o qualche secchiata d’acqua
quando il fortunato della macchina di prima ha proprio una giornata no e i
cugini se ne approfittano. Non esiste privacy, zero, in quei due mesi e mezzo
d’estate siamo un clan tutti sanno di tutti e non c’è la possibilità di fare
qualcosa e passare inosservato, il che in certi versi è una cosa pazzesca, ma
quando sei adolescente e il ragazzo che ti piace ti riporta a casa e c’è
puntualmente qualcuno che o legge sul balcone o gioca a carte o ha deciso che
proprio quella sera faceva troppo caldo per dormire beh lo è un po' di meno. Ma
fa tutto parte del gioco, di questo posto che per me è sempre stato fuori dal
tempo, di questa casa in cui quelli della casa accanto chiamano quelli della
casa sopra per giocare a burraco nel tuo giardino, quella che è piena di
bambini urlanti durante il giorno, e che di notte è cosi silenziosa da far
paura, è un posto in cui esci in pigiama, in mutande o in costume e a nessuno
fa differenza, è un posto in cui c’è sempre qualcuno da aiutare, o un geco da
cacciare, dove non ostante siamo un sacco e quindi i bambini sono sempre
controllati da qualcuno ogni tanto il “dove sta Emma” con un briciolo di
panico, scappa.
Poi ci sono le strade, che sono un caotico groviglio di
persone, biciclette, cani e passeggini, le macchine ci sono praticamente solo
il sabato e la domenica quando c’è la migrazione dei bagnanti giornalieri. Ecco
quelle strade hanno visto proprio un sacco di cose. Quando ero piccola e andavo
in bicicletta non erano ancora asfaltate e quindi le gambe erano piene di
polvere fino alle ginocchia, e quando tornavi dal mare con le infradito ancora
bagnate si creava una specie di malta a presa rapida sotto la suola. Poi la
sera si trasformavano nel ritrovo di noi ragazzi. Non ci sono panchine o parchi
ci sono staccionate e muretti colonizzate dalle varie comitive e le bici
buttate in strada pronte per la fuga ogni volta che il pallone finiva nel
giardino del signore dei pomodori e il colpevole, dopo una svariata serie di
insulti, doveva scavalcare e andarla a recuperare e se il signore dei pomodori
se ne accorgeva il pallone era perso per sempre o meglio fino al giorno dopo,
con un nuovo pallone e una nuova casa in cui infilarsi. Poi sono diventate le
strade con i motorini e le macchine dei più grandi del gruppo, quelle in cui ho
imparato a guidare, più o meno, considerato il fatto che mia madre non mi
faceva neanche mettere la seconda. Ma la più bella, quella che percorro quattro
volte al giorno minimo è quella che porta al mare e in particolare al mio
stabilimento.
Il Lido aquarius che oggi è diventato il Marine Village, qui
il clan Antonini ha sempre mantenuto la prima fila di ombrelloni a sinistra
della passerella, e il bagno si faceva solo a sinistra come se la parte di
destra avesse qualche problema, e niente quelli delle biciclette della sera
prima erano gli stessi in spiaggia alle 9:30 e più o meno siamo rimasti gli
stessi, che a 15 e 25 anni fanno le stesse cose, qualcuno è sparito, qualcuno
innamorato, laureato (sposati non ne abbiamo ancora) ma una cosa è rimasta invariata:
io e il mare. Non tutti indistintamente eh, io e quel lato sinistro, che sia
una delle mie estati o il giorno più freddo dell’anno rimane sempre il mio
mare. Quando si entra al Marine (perché pure Village è dimenticato da Dio e
dagli uomini) il mare non si vede subito, si lascia desiderare e dopo un
alternarsi di salite e discese eccolo lì a far cornice tra aiuole e arredi in
legno dipinti di bianco, qualche tenda svolazzante che fa un po' Fregene ma che
in realtà è un’Ostia “bene” eppure io sono follemente innamorata di quel lembo
di terra. Non so bene perché e forse è questo il motivo, la sensazione però è
quella di essere avvolta, di sapere
ogni segreto anche il più intimo di quel luogo, sei a casa eppure lontano da tutti
ma soprattutto è la sensazione di poter sempre costruire un nuovo ricordo, in
continuazione, un archivio illimitato di frammenti di vita.
Mi piace credere che il giorno in cui dirò “oggi voglio
stare da sola” le persone che mi amano è qui che verranno a cercarmi ed è qui
che mi troveranno, nel lato sinistro del mare.
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